Le occasioni del silenzio

Da un'idea di Mariangela Calabrese, artista e Rocco Zani, critico d'Arte, è nato Il progetto ad Arte in Dimora - Discovery of Urban Site. Il progetto vede protagonista l’Arte in un percorso espositivo all’interno di dimore storiche che rappresentano veri e propri luoghi della memoria individuale e collettiva, con una serie di eventi già programmati sul territorio nazionale, e con la speranza di fissarne di nuovi oltre i confini.

Le recenti e necessarie restrizioni che impediscono il naturale svolgimento dell'attività espositiva, hanno spinto gli organizzatori ad esplorare nuovi contesti e inediti percorsi. Nasce da queste considerazioni " Le occasioni del silenzio", il primo appuntamento espositivo in cui l’originaria dimora si fa luogo virtualmente dischiuso allocando l’intera esposizione in un giardino per  offrire al contempo una immaginaria e suggestiva passeggiata nella natura. 

L’evento, avrà anche un “virtuale vernissage in diretta" interamente ospitato nella pagina Facebook di ad Arte in Dimora - Discovery of Urban Site il giorno 15 aprile prossimo alle ore 17:00. Successivamente sarà proposto su altre piattaforme social.


"Il rischio di un abbandono riflessivo, scrive Rocco Zani, si fa marcato in questo tempo malconcio, come se lo spaesamento defluisse in una nuova condizione: di assenza, di vuoto, di vertigine. Tempo malato e non identificabile e pertanto capace di un inedito pencolamento. L’arte - finanche l’arte - sembra ritrarsi come bassa marea, riponendo lo sguardo e l’idea - falcidiati, offesi, imbarazzati - in un periferico largario di assenze. Come in attesa di un divenire smarrito, orfano di coordinate e accenti. Sarà di nuovo la memoria a ripristinare il volano? O tutto accadrà per ressa, per sfinimento, per lampi lunari? Resta oggi un crinale incerto su cui disporre sacchi di sabbia e incidere trincee d’avamposto. Non per difendere l’indifendibile piuttosto per testimoniare la presenza - non già l’assenza - di un accampamento sopravvissuto, di anime in transito, di occhi che custodiscono - ancora stralci di immaginifico.

Ecco allora che Le occasioni del silenzio possono (e devono) essere altre e propiziatorie, epilogo di una temporalità non completamente esaurita ed esordio acerbo, al contempo, di rinnovate possibilità, di germinali traiettorie. Nasce in un mondo altro questa esperienza di comuni sguardi, senza un orientamento preallertato o come resa dei conti, piuttosto come voce estesa, guardiana, ventosa. Nasce nella bellezza del vuoto, come tassello testimoniale di un mosaico assai più ampio. E mai come ora senza confronto alcuno di echi e indizi, di affabulazioni o di parole non dette. Dieci autori come comunità. Ovvero luci diffuse in un attraversamento notturno, paletti di appiglio e di sosta. Per ognuno di loro, per ognuno di noi. Come i loro indirizzi cromatici, al pari dei segnali riposti sui piani o sull’indolenza del legno e del ferro. Opere sospese tra i rovi e i fiori di un paesaggio che non è più emarginato o alveo occasionale, ma anch’esso universo finalmente (e diversamente) percettibile. Bagliore e presenza. Anzi, pare quasi che le opere siano affidate alla magnanimità della natura, come figliolanza gracile tra le braccia e il cuore di una madre consolante.

Affida al pronunciamento del rosso la “custodia del dire” Mariangela Calabrese, quasi a insanguinare le ore del cielo mentre il mare è cucitura ardita di aliti e boati. Sa di echi campestri e di memorie mai disperse il viaggio di Alberto D’Alessandro, di minuscoli crateri in cui le voci e gli occhi hanno trovato ripari appartati.  Scie o traiettorie senza bavaglio sono quelle che Viviana Faiola accende sulla campitura come estrema e reiterata pronuncia di presenza. Di lotta, di sguardo.  Anime o presagio per Elmerindo Fiore, quasi a ribadire l’incustodita assenza, l’ombra generosa e la recita durevole che profetizza l’epilogo e di questo l’oltre.  La pittura di Giovanni Mangiacapra consuma vertigini e attese e l’occhio penetra i vizi e l’inedia. Come folate di cenere per ridisegnare ipotesi di luoghi o cortili. Un dire di tracce tonali quello di Bruno Paglialonga, di indizi soffocati, quasi a sopprimere l’alito e l’argine della tela. Senza compromesso alcuno perché la scrittura sia incantamento e appiglio. Saldo e spoglio il tempo narrativo di Michele Peri. Arroccato sui cardini del tramonto - la sua ora - quando la terra gravida si offre alla luna e le litanie della ricordanza si fanno sagome.  E’ luce profetica quella che Enzo Sabatini sparge e dilunga nella ritualità della forma. Incastonandola a mo’ di specchi minuti perché con essa - con la forma - tutto diventi lievito.  La fusaggine si fa ferro e viceversa nel segno primitivo e sensuale di Jano Sicura. In un periscopico gioco di legature e intrecci - di abbracci e di rimozioni - tutto appare pronunciatamente sospeso.  Trasparire, quasi fosse parola ormeggiata. E’ uno svelamento accecante quello che Antonio Tramontano sperimenta lasciando all’occhio lembi e varchi, sollievi e percettibili ragioni. "





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