Nature is what we see

Come ogni primavera, la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati a Lugano viene riaperta al pubblico con un nuovo allestimento, che propone una selezione di opere di grandi maestri e giovani artisti affermati su scala internazionale, messi in dialogo tra di loro. Nature is what we see - titolo dell’allestimento di quest’anno che rievoca un celebre verso della poetessa americana Emily Dickinson - presenta la natura in un’accezione vasta attraverso le opere di una trentina di artisti, fra cui recenti acquisizioni di rilievo di Harold Ancart, Tauba Auerbach, Vincenzo Agnetti, Nairy Baghramian, Roberto Cuoghi, Enrico David, Michael Dean, Günther Förg, Pino Pascali, Alessandro Piangiamore, Markus Raetz, Ugo Rondinone, Remo Salvadori, Garth Weiser e Christopher Wool.

Ad aprire la sezione Nature is what we see è l’opera Alfabeti dell’artista italiano Remo Salvadori, che rappresenta una metamorfosi alchemica: i setti metalli - piombo, stagno, ferro, rame, mercurio, argento, oro - sono forgiati per cambiare la natura e il modo di manifestarsi. Segue uno straordinario lavoro di Harold Ancart, raffigurante un iceberg. L’artista belga – invitato recentemente al Centre Pompidou di Metz per realizzare una pittura monumentale site specific – ha iniziato a dipingere iceberg in risposta alle estreme condizioni climatiche invernali che hanno interessato New York, la città dove vive e lavora. Ancart ritrae altri soggetti naturali che invitano alla contemplazione, come orizzonti, nuvole, fiori o fiamme, rappresentati in mostra dall’opera Untitled. Accanto ad Ancart sono esposti, tra gli altri, due dipinti geometrici, astratti e dai forti contrasti cromatici di Günther Förg, in cui l’artista ricompone il motivo naturale tramite segni colorati; l’opera Tusche, una foresta in negativo dell’artista svizzero Ugo Rondinone, in dialogo con due sue sculture totemiche della serie Mountains (Blue Yellow Red Mountain e Black White Green Mountain) poste al centro della sala. L’artista elvetico, da sempre interessato all’interazione tra arte - uomo - natura, per la realizzazione di queste sculture prende spunto dalle guglie naturali comuni in alcune zone desertiche e dall’arte meditativa del bilanciamento delle pietre; mentre i colori fluorescenti derivano da una classificazione data dall’artista in rapporto ai luoghi da cui sono tratti i singoli elementi. 

L’allestimento prosegue con due opere di artisti italiani, Roberto Cuoghi ed Enrico David, protagonisti, rispettivamente della scorsa (2017) e della prossima edizione (2019) del Padiglione Italia alla Biennale d’Arte di Venezia. L’idea di metamorfosi e l’uso di tecniche e materiali non convenzionali, accomunano i loro singolari percorsi artistici. SS (LXXXXIXP) di Cuoghi raffigura un granchio in ceramica, eco dell’intervento Putiferio (2016), un’invasione di granchi che l’artista realizzò a Idra, facendo rivivere simbolicamente questa specie animale, scomparsa dall’isola greca molto tempo fa. David declina l’indagine naturale in senso materico, spaziando dalle grandi tele ricamate The American Elle Earthworm e Untitled alla scultura polimorfa Untitled.

Il lavoro dei due italiani viene accostato all’opera fragile e poetica dell’artista Nairy Baghramian. Di origine iraniana, Baghramian esplora la forma scultorea, utilizzando figure e motivi tratti da fonti molteplici, dal design alla fisiologia. Il suo lavoro Eule (Owl) è realizzato in resina epossidica e legno dipinto. Seguono alcuni rappresentanti dell’Arte Povera, che si distinguono per l’impiego di materiali “poveri” naturali, organici e industriali: legno, foglie, marmo, lastre di ferro, sacchi di juta, plastiche, scarti industriali Giuseppe Penone, Jannis Kounellis, Gilberto Zorio e Pino Pascali. Quest’ultimo con la scultura Baco da setola completa il nucleo della raccolta dedicato a questo movimento. L’opera rientra nel ciclo che Pascali dedicò agli animali e alla natura: è una scultura realizzata con uno spazzolone in acrilico sostenuto da una struttura in ferro, che ha la forma di un grande bruco. Insieme a questo corpo di lavori, nella grande sala sono esposti Photo-graffia di Vincenzo Agnetti, dove la carta fotografica è stata graffiata dall’artista con una punta metallica per tracciare sottili fili di memoria, nuvole di punti luminosi, fiori fragili o personaggi trasparenti e inafferrabili come fantasmi; l’opera Ieri ikebana 070820162 di Alessandro Piangiamore, in cui fiori e foglie sembrano emergere dal cemento e Maschera di terra di Jean Dubuffet, per cui “tutto è paesaggio”. L’opera riflette inoltre l’abbondono da parte dell’artista dell’uso dei colori tradizionali per adottare la terra come medium per comporre i suoi lavori.


L’ultima sala ospita, oltre a uno splendido lavoro di Christopher Wool, oggi tra gli artisti contemporanei più noti su scala internazionale, il trittico fotografico Still Water di Roni Horn e l’incisione Wellen di Markus Reatz, in cui l’acqua è assoluta protagonista. In Still Water, le immagini del fiume Tamigi sono accompagnate da alcuni testi posti in calce: storie, racconti e citazioni letterarie alternate a invenzioni dell’artista cercano di decifrare l’inafferrabile essenza dell’acqua. Versi e frasi, in questo caso di Emily Dickinson, tornano nel lavoro di Horn When Dickinson Shut her eyes: No. 562 Conjecturing a Climate e fungono da ispirazione per il titolo Nature is what we see, tratto da un’altra poesia della poetessa americana.


Elenco artisti

Vincenzo Agnetti/ Harold Ancart/ Tauba Auerbach/ Nairy Baghramian/ Roberto Cuoghi/ Enrico David/ Michael Dean/ Jean Dubuffet/ Günther Förg/ Roni Horn/ Jannis Kounellis/ Leoncillo/ Markus Lüpertz/ Mario Merz/ Pino Pascali/ Giuseppe Penone/ Alessandro Piangiamore/ Seth Price/ Markus Raetz/ Ugo Rondinone/ Sterling Ruby/ Remo Salvadori/ Salvatore Scarpitta/ Garth Weiser/ Christopher Wool




A Collection in Progress
Nature is what we see

29 marzo – 16 giugno 2019
Collezione Giancarlo e Danna Olgiati 

Un progetto di Danna Olgiati e Diego Cassina  
www.collezioneolgiati.ch



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