Un taglio contemporaneo. Capolavori dalla Collezione permanente del Castello di Rivoli
Il Castello di Rivoli offre fino al 31 dicembre 2017 un affascinante viaggio di “ri-scoperta” dell’arte contemporanea in una residenza reale.
Curata da Marcella Beccaria la mostra "Un taglio contemporaneo. Capolavori dalla Collezione permanente" presenta i capolavori di Giulio Paolini , Michelangelo Pistoletto , Maurizio Cattelan , Ai Weiwei , Giuseppe Penone e Rebecca Horn in dialogo con le sale auliche per avviare, attraverso l'arte, un percorso dagli albori della contestazione studentesca nel 1967-68 fino ai giorni nostri - dall'Italia alla Cina contemporanea:
Nella Sala 15, la “Sala dei Continenti”, è presentata Casa di Lucrezio, 1981, di Giulio Paolini.
La sala, che ha carattere di rappresentanza, ha conservato l’impostazione architettonica ideata da Filippo Juvarra con decorazioni eseguite a fine Settecento sotto la guida di Carlo Randoni. Le quattro lunette, attribuite alla scuola di Evangelista Torricelli e Giovanni Comandù, raffigurano l’Africa, l’America, l’Europa e l’Asia, mentre il centro volta è dominato dal carro del Sole. Le figure a monocromo che rappresentano il Po e la Dora si trovano invece nei riquadri affrontati, mentre sono appena abbozzate le figure che avrebbero dovuto rappresentare i venti.
L’opera Casa di Lucrezio, realizzata da Giulio Paolini (Genova, 1944), esprime la tensione verso l’identificazione assoluta con un modello classico. L’opera allestita al Castello di Rivoli è costituita da due calchi in gesso interi e altrettanti in frammenti – possibili sembianze del poeta antico – e quattro frammenti di una tavoletta in gesso su cui è inciso il disegno di un labirinto rinvenuto in una colonna dell’abitazione di Lucrezio a Pompei. Secondo l’artista, che si confronta con il poeta secondo una dialettica autoriflessiva alimentata dalla frantumazione e dal doppio, è nei frammenti che si può intravedere l’ideale di bellezza classica, con la sua perfezione formale e intellettuale.
nella Sala 5, mai rifinita da decorazioni a causa delle forzate sospensioni dei cantieri di Filippo Juvarra e di Carlo Randoni, ospita la Venere degli stracci, 1967, capolavoro dell’artista Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), tra i maggiori esponenti dell’Arte povera. Composta da una riproduzione di una scultura classica di Venere vista di spalle e da una massa di stracci usati, l’opera è diventata simbolo della rivoluzione estetica culturale e politica del Sessantotto. La copia della Venere in cemento ricoperta di mica, minerale luminoso, rimanda all’arte classica, mentre la massa variopinta di indumenti dismessi manifesta l’irrompere disordinato del quotidiano.
la Sala 14, la “Sala degli Stucchi”, accoglie l’opera iconica Novecento, 1997, di Maurizio Cattelan.
La sala, progettata ed eseguita da Filippo Juvarra, è tra le più raffinate per l’articolazione dello spazio, definito dall’elaborata struttura della volta che presenta quattro lunette angolari a loro volta sorrette da mensole a volute. La decorazione a stucco, opera di Pietro Filippo Somasso, conduce lo sguardo lungo le cornici e i fregi che portano al monogramma centrale di Vittorio Amedeo II, mentre nei tondi sopra le porte sono collocati sei antichi busti di marmo. Il pavimento, realizzato negli anni Ottanta in occasione del restauro di Andrea Bruno, riproduce fedelmente i progetti lasciati allo stesso Juvarra.
Novecento, realizzata nel 1997 da Maurizio Cattelan (Padova, 1960), consiste in un cavallo appeso al soffitto mediante un’imbragatura. Il collo dell’animale si piega verso terra e le zampe, allungate nel corso della tassidermia, sono tese verso il suolo. Sorprendente natura morta, l’opera, anti-monumento equestre al fallimento di tante utopie, trasmette una tensione frustrata e un’inquietante sospensione della capacità di muoversi che sembra alludere a un secolo, quello ventesimo, pieno di promesse ma anche di catastrofi.
la Sala 18, progettata e realizzata da Carlo Randoni, presenta una grande volta in mattoni che al livello superiore lascia a vista la struttura di estradosso, a testimonianza della tecnica costruttiva di fine Settecento.
La sala accoglie Fragments (Frammenti), 2005, imponente opera dell’artista cinese Ai Weiwei (Pechino, 1957) proveniente dalla collezione di Uli Sigg e donata al museo M+ che sarà inaugurato nel 2019 a Hong Kong. Inclusiva di tavoli, sedie e sgabelli, l’opera si articola in pilastri e travi in legno di templi della dinastia Qing (1644-1911) distrutti dal regime e provenienti dalla regione del Guangdong. Simili a braccia che si intrecciano, i possenti elementi lignei che definiscono la struttura dell’opera sono disposti dall’artista secondo uno schema che corrisponde graficamente alla mappa della Cina. Complesso sistema in delicato equilibrio, la monumentale installazione di Ai Weiwei può essere interpretata come una potente metafora della realtà odierna e della fragilità che si cela dietro alle manifestazioni di potere.
la Sala 21: “Sala di udienza o dei putti”, era la camera da letto di Maria Beatrice, primogenita dei duchi d’Aosta. La volta dell’ambiente, dipinta dal monregalese Giovenale Bongiovanni tra il 1793 e il 1794, è caratterizzata da gruppi di puttini disegnati su un cielo di nubi e affacciati a una finta balaustra.
Nella sala è allestita Albero di 11 metri di Giuseppe Penone (Garessio, 1947), che appartiene al ciclo di opere Alberi, cui l’artista si dedica sin dal 1969, realizzate partendo da travi in legno di tipo industriale che vengono incise, intagliate e scavate fino a riportare alla luce il tronco e i rami dell’albero originale, riconoscibili attraverso i nodi visibili nel legno. Mediante un processo definito dallo stesso Penone “di scortecciamento”, viene estratta la forma di un albero più giovane la cui immagine è conservata al suo interno. Le opere di Penone analizzano i processi legati alla trasformazione e indagano una dimensione sensuale della materia.
Infine la Sala 23: conosciuta come “Sala di Amedeo VIII o dell’Incoronazione” – tornata agli antichi fasti grazie ai lavori di restauro terminati nel 2005 e finanziati dalla Fondazione CRT – presenta una decorazione ad affresco che è la più antica di tutto l’edificio. La decorazione fu realizzata tra il 1623 e il 1628 ad opera dell’équipe di pittori luganesi Isidoro, Francesco e Pompeo Bianchi. Il ciclo pittorico celebra gli avvenimenti della vita di Amedeo VIII (1388–1451), primo duca della dinastia.
Nella sala è allestita l’opera Cutting Through the Past, 1992-93, di Rebecca Horn (Michelstadt, Germania, 1944), dalla quale prende spunto il titolo della rassegna. Nell’opera, cinque porte che recano i segni del tempo vengono toccate da un’appuntita asta metallica che, compiendo una rotazione orizzontale di 360°, ne scava l’estremità con un gesto lieve ma crudele. Il movimento evoca una situazione conflittuale tra le parti in gioco che porta alla progressiva distruzione delle stesse. Componenti essenziali di molte opere di Horn, le macchine sono dispositivi pressoché antropomorfi i cui movimenti e interazioni ricreano un inquietante teatro all’interno del quale ossessione, desiderio e relazioni di potere sono protagonisti indiscussi e speculari rispetto allo spazio definito dalle relazioni umane.