Koinè a Castel dell’Ovo
Dopo essere stata presentata con successo di pubblico e di critica a Milano, Ferrara, Piacenza e Roma, la mostra "Koinè" sbarca ora a Napoli, nel suggestivo e prestigioso contesto del Castel dell’Ovo. La mostra è curata da Virgilio Patarini per Zamenhof Art ed inserita in questo caso nel Progetto “Dramatis Personae”, patrocinato dal Comune di Napoli – Assessorato alla Cultura e dall’Unesco di Napoli: apertura mostra giovedì 4 febbraio, alle ore 10.
La mostra proseguirà fino a domenica 14 febbraio 2016, tutti i giorni dalle 10 alle 18. Domenica dalle 10 alle 13. Ingresso libero.
Cerimonia di presentazione: sabato 13 febbraio alle ore 16, in occasione del finissage del progetto Dramatis Personae.
In mostra quadri, sculture e fotografie di Walter Bernardi, Alberto Besson, Pierangela Bilotta, Anna Maria Bracci, Valentina Carrera, Raffaele De Francesco, Maria Grazia Ferraris, Maria Franca Grisolia, Michelle Hold, Paolo Lo Giudice, Fiorella Manzini, Franco Maruotti, Virgilio Patarini, Alessandro Pedrini, Rosanna Pressato, Maria Luisa Ritorno, Gabriella Santuari, Giordano Ernesto Sala, Elena Schellino, Ivo Stazio
La mostra è stata precedentemente presentata, nel corso del 2015, a Milano in due gallerie sui Navigli (Spazio E e Spazio Libero 8), a Piacenza nel Complesso Museale Ricci Oddi e a Ferrara a Palazzo Racchetta e all’inizio del 2016 a Roma alla Galleria Muef.
Per vedere un reportage sulle precedenti esposizioni e la rassegna stampa cartacea:
http://www.zamenhofart.it/mostra-koin%C3%A8-2015-16/
Nota critica introduttiva
Per un linguaggio comune della post-avanguardia
I
Il tempo delle Avanguardie è finito. Si è aperto con l’Impressionismo e si è chiuso con la Transavanguardia. Per oltre un secolo ogni nuova generazione di artisti ha cercato di smarcarsi dalla generazione precedente proponendo una nuova, differente idea di arte contemporanea. Ora tutto questo sembra non funzionare più. Il meccanismo pare inceppato. A partire dal discorso generazionale.
Da molti anni l'articolato progetto espositivo ed editoriale che risponde al nome di “Zamenhof Art” cerca di mettere in luce proprio ciò, presentando, di volta in volta, in contesti diversi e con diversi abbinamenti e articolazioni, una nuova ‘generazione’ di artisti che anziché inseguire il nuovo a tutti i costi, rinnegando il lascito delle generazioni precedenti, cerca piuttosto di definire un linguaggio comune per l’arte contemporanea, una sorta di “koinè”, facendo tesoro delle ‘invenzioni’ delle Avanguardie, attraverso un paziente, complesso, raffinato processo di sintesi e contaminazioni.
E una prova lampante che un certo ‘meccanismo’ sia saltato balena agli occhi di tutti se si sofferma l’attenzione, senza pregiudizi, su di un fatto concreto, tangibile, facilmente riscontrabile: da molti anni ormai si è annullato un qualsiasi significativo ‘scarto generazionale’. Non a caso nel selezionare opere e artisti per questo progetto che in definitiva mira a definire al meglio che cosa si intenda per ‘Post-Avanguardia’ si è dovuto sempre necessariamente prescindere da vincoli generazionali.
Per la prima volta, da oltre un secolo a questa parte, artisti di tre generazioni differenti stanno uno accanto all’altro e parlano (più o meno) la stessa lingua. E ad ascoltarla con attenzione ci suona come una lingua nuova e antica allo stesso tempo: inaudita eppure riconoscibile. Originale ma decifrabile.
II
In anni di sempre più rutilante trasformazione, sotto tutti i profili, l’arte più che mai si deve interrogare su se stessa: sul proprio ruolo, sulla propria funzione, ma anche e soprattutto sul proprio linguaggio.
(Ammesso che quello dell’arte sia un linguaggio).
Poiché è proprio attraverso le sue forme, la sua estetica, la sua sintassi, i suoi stili e stilemi, che l’arte può entrare, più o meno, in rapporto con la realtà circostante, con la storia, con la vita degli uomini che la fanno e che ne fruiscono. Un rapporto che può (e forse deve) essere ambivalente: un viaggio di andata e ritorno.
L’arte deve subire l’influenza della realtà e del suo divenire, ma deve anche, al tempo stesso, influenzarla e influenzarne, in qualche modo, le trasformazioni. O almeno deve provarci. Non solo lavorando sulle idee, e dunque sulla percezione, sull’interpretazione della realtà, ma anche sulla sua progettazione.
Ma perché questo possa accadere occorre che l’arte contemporanea diventi strumento più forte e più duttile al tempo stesso, da una parte recuperando e rinsaldando le proprie radici e dall’altra aprendosi alla molteplicità delle sue (quasi) infinite possibilità espressive ed altrettanto (quasi) infinite concezioni estetiche attuali. Solo così l’arte può entrare efficacemente in rapporto dialettico con una realtà così articolata, stratificata, sfaccettata e complessa come quella contemporanea.
Nel corso degli ultimi 150 anni il succedersi delle scoperte scientifiche e tecnologiche ha impresso alla storia dei mutamenti vertiginosamente rapidi e radicali. Allo stesso modo negli ultimi 150 anni il succedersi delle invenzioni e delle trasformazioni sul versante artistico, col succedersi inesorabile e travolgente delle Avanguardie, è stato altrettanto vertiginoso. Ed è ovvio che tra le due cose ci sia un rapporto più o meno direttodi causa-effetto, o per lo meno di osmosi o di contagio.
Ora il mondo in cui oggi viviamo è l’inquieto, stratificato, caotico e contraddittorio risultato di tutte queste trasformazioni. E l’arte che può entrare in rapporto con questo mondo non può che essere un’arte capace di raccogliere e sintetizzare l’inquieta, stratificata, caotica e contraddittoria eredità delle Avanguardie e degli ultimi 150 anni di arte contemporanea. E forse anche oltre, poiché in effetti negli ultimi 150 anni, tra un’Avanguardia e l’altra non sono mancati momenti di “Ritorno all’ordine” in cui si è guardato indietro con occhi nuovi alla tradizione pittorica più antica. E anche questi momenti fanno parte del retaggio della Contemporaneità e hanno contribuito a forgiarne le forme.
E questa è la linea che abbiamo seguito in questi ultimi anni nel selezionare opere ed artisti: opere ed artisti che fossero in grado non solo di recuperare e reinventare il retaggio delle grandi Avanguardie storiche, ma anche e soprattutto di sintetizzare e contaminare stili e linguaggi, trovando punti di contatto inediti e suggestivi.
Virgilio Patarini
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